Solo la verità ci rende veramente liberi!

Solo la verità ci rende veramente liberi!
Solo la verità ci rende veramente liberi

domenica 24 novembre 2013

3 minuti con Giorgia per ricordarci tutti che... "è l'Amore che conta"!



L'AMORE HA INFINITE ESPRESSIONI
MA UNA SOLA SOSTANZA
e lo testimonia anche il fatto che le parole di questa canzone, pur probabilmente riferendosi all'amore di coppia, possano applicarsi alla natura stessa dell'amore, che è di per se stessa unica ma con molteplici volti.
Nicola 
Di errori ne ho fatti
ne porto i lividi
ma non ci penso più
Ho preso ed ho perso
ma guardo avanti sai
dove cammini tu
Di me ti diranno che sono una pazza
Ma è il prezzo di essere stata sincera

E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda


Nell'attesa che hai
Nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no

Di tempo ne ho perso
certe occasioni sai
che non ritornano
mi fa bene lo stesso
se la mia dignità
è ancora giovane
Di me ti diranno che non sono ambiziosa
E' il prezzo di amare senza pretesa...

E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda

Nell'attesa che hai
Nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no


No, No, No
No a questo tempo
d'ira e di cemento
No, No, No, NO!


E' l'amore che conta
non solo i numeri, e neanche i limiti
E' una strada contorta
e non è logica, e non è comoda


Nell'attesa che hai
Nell'istante in cui sai
che è l'amore che conta
non ti perdere, impara anche a dire di no

domenica 17 novembre 2013

Felice Natale Dickens!

Il 19 dicembre del 1843 fu pubblicato uno dei libri di maggior successo di Charles Dickens, il Canto di Natale, anche noto come Cantico di Natale. Di questo breve romanzo di genere fantastico, sono nate svariate rappresentazioni , ma una in particolare balza all'attenzione dei giorni nostri "A Christmas Carol", un film avente le sembianze dell'animazione per ragazzi, edito nel 2009, diretto da Robert Zemeckis e prodotto dalla Wat Disney Pictures.

Oggi ho avuto l'occasione di rivederlo, in compagnia di mia moglie, e ho potuto ancora una volta constatare quanti spunti di riflessione siano contenuti in esso.
In particolare, dopo pochi minuti di registrazione, sono stato colpito da questo dialogo tra Ebenezer Scrooge, l'anziano protagonista del racconto, e il suo unico parente ancora in vita, l'affettuoso nipote Fred.

Entrando nel negozio di cambiavalute Fred esordisce: "Felice Natale zio! Che Dio vi protegga!"
E l'anziano smagrito gli risponde borbottando dalla sua scrivania: "Ah, scempiaggini!"
Avvicinadosi, il nipote replica: "Il Natale una scempiaggine? Zio, non lo pensate di certo?"
Senza neppure alzare lo sguardo dalle monete verso suo nipote, aggiunge: "Felice Natale... che ragioni hai tu per essere felice? Sei piuttosto povero."
Così in un attimo Fred ribatte sorridendo: "Che diritto avete voi di essere cupo? Siete piuttosto ricco."

Prima di tutto mi ha divertito questo rapido botta e risposta, e al contempo sono rimasto interessato dalla verità di questo dialogo.
Durante tutto il film vengono poi svelate le cause della freddezza dell'anziano uomo, e le conseguenze che il suo modo di essere ha e avrà per la sua vita,e per quanti hanno in diversa misura a che fare con lui.
Ma estraendo dal contesto del romanzo queste righe, e rileggendole, non ho potuto fare a meno di notare il paradosso -che Dickens avrà volutamente inserito, probabilmente- tra la gioia del nipote "povero" (e, in seguito, anche quella del dipendente sottopagato, con la famiglia numerosa) e la freddezza scostante, arrabbiata e diffidente dell'anziano ricco.
Si potrebbe rimanere stupiti e, volendo esagerare -ma non troppo, in fondo- folgorati, nel considerare la gioia che abita il cuore di un uomo "povero", e al tempo stesso la desolazione che ha occupato quello del ricco.
E colpisce, oltretutto, che tale sottolineatura, fatta da Dickens nella prima metà del 1800, sia ancora valida - e forse ancor più di allora- per la persona d'oggi.
Vuol dire che tale aspetto dell'umana vita è vero, e che non è legato né al tempo né al luogo, ma piuttosto all'animo umano, e alle insidie che lo minano da sempre.
Ci fa certamente bene considerare queste cose, e ci farà ancor più bene chiederci: come è possibile che il cuore di un uomo povero possa essere abitato dalla  gioia? O meglio, Chi può rendere possibile questo?

Chi avrà modo di vedere il film, o leggere il romanzo, ne coglierà certamente i valori sottilmente sparsi nella trama e nelle vicende del personaggio principale.
Che ne direste di dargli un'occhiata per questo Natale?

Sulla copertina sarebbe simpaticamente vero trovarci scritto: "Film/romanzo adatto a un pubblico di non solo ragazzi."

Nicola Salvi

martedì 12 novembre 2013

Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità

Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità;
lo fece a immagine della propria natura.
Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo;
e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi,
la loro speranza è piena di immortalità.
Per una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé:
li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno;
come scintille nella stoppia, correranno qua e là.
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti. 

Libro della Sapienza 2,23-24.3,1-9

 Creazione di Adamo

domenica 10 novembre 2013

Ma, qual è la mia aspettativa di vita?

Scorrendo con il mouse una lista di circa 200 paesi di tutto il mondo, dal Regno dello Swaziland (Ngwana), un piccolo paese dell'Africa del Sud, passando per il Senegal, le Filippine, la Siria, la Tunisia, l'Argentina, gli Stati Uniti d'America, il Regno Unito, la Germania, la Grecia, l'Italia, Andorra e fino al Giappone, leggo che l'aspettativa media di vita alla nascita va dai 32 anni d'età del primo, aumentando via via fino agli 84 del'ultimo citato.
Giungo a questa lista stuzzicato dalla Parola di Dio di oggi, che prende le mosse dal capitolo 7 del secondo libro dei Maccabei, passando per la lettera ai Tessalonicesi 2,16-17.3,1-5, per giungere poi al passo del vangelo di Luca capitolo 20, versetti 27-38.

Penso a queste pagine della Scrittura, e al tempo stesso guardo le statistiche, e mi domando:
qual'è la mia aspettativa di vita?

Stando a questa lista potrei sperare di vivere anche 79,4 anni; e potrei anche ringraziare il Signore di non essere nato nello Zimbabwe, o in Mozambico, o nel Malawi, altrimenti mi sarei visto quasi dimezzare la mia speranza di vita.
Ma tornando con gli occhi, e soprattutto col cuore, alle letture, so bene che tutti questi calcoli hanno perso via via senso e consistenza nella mia vita, perchè non c'è statistica che tenga dinanzi alla Speranza - con la "s" volutamente maiuscola- che genera la verità di queste pagine.

E allora torno a interrogarmi: qual'è la mia aspettativa di vita?

Ho imparato che con certezza questa vita finisce, ma sto imparando, con altrettanta certezza, che la vita non finisce.
Quanto e come cambia la nostra prospettiva della vita quando l'ottica dalla quale la osserviamo abbraccia un orizzonte più ampio, o meglio, sconfinato!
Nella parte finale del Credo che pronunciamo durante la messa c'è proprio questa affermazione: "...credo la risurrezione...". E, da affermazione qual è, io la volgo interrogativamente a me stesso, all'intimo di me stesso, e mi dico: io credo nella risurrezione?
Posso dirlo a voce alta tra i banchi di una chiesa; posso ripeterlo nelle preghiere quotidiane; posso insegnarlo ai miei figli, o ai bambini che nella stessa chiesa mi sono stati affidati affiinché trasmetta loro la mia fede;
 ma trovo nei miei pensieri, nelle mie parole, nei miei atti, nelle mie scelte, questo meraviglioso fondo luminoso che li invade tutti di vera luce?

Giorni come questo, in cui la liturgia ci invita a riprendere in mano, per così dire, un aspetto così importante e fondante della nostra fede, rappresentano una vera grazia per tutti coloro che accolgono questa parola vivificante, che la Chiesa con materna generosità ci dona.

Ecco, allora, che queste poche righe condivise con chi avrà il tempo e la volontà di leggerle, vogliono proporre di metterci in gioco, di cogliere la bellissima importanza di questa nostra verità di fede;
di non aver timore di rimetterci in cammino insieme, partendo proprio dal dare uno spazio dentro di noi a queste domande che come sempre la Parola di Dio genera, come acqua su un germoglio appena nato.

Invito chiunque lo voglia a condividere le proprie consederazioni in merito a ciò che sente dentro a riguardo, e chissà che questa condivisione possa rivelarsi addirittura utile per la nostra vita.

Nicola Salvi

Fonte: la mia coscienza.

domenica 27 ottobre 2013

Guardati, sei proprio tale e quale a...

Guardati, ma sei proprio tale e quale a tuo padre / a tua madre!

Alzi la mano telematica chi non ha mai sentito pronunciare queste parole!

Possono essere state rivolte proprio a noi, o a qualcuno a noi molto vicino.
Può averle pronunciate una madre verso il figlio; un padre verso la figlia; una "nuora" verso il marito; un "genero" verso la moglie; o anche un/a  figlio/a  verso il genitore.

E quante volte queste parole, se dette con intenzione offensiva, procurano ferite?
Non c'è dubbio che quando vengono pronunciate sono palesemente la conseguenza di una stato di nervosismo e di rabbia, che fa sbottare con parole inadeguate ed eccessive i propri sentimenti.
Ciascuno di noi sa bene quali motivi ci spingono a usare un linguaggio piuttosto che un altro. Ma non sempre ci fermiamo a riflettere sulla giustizia delle nostre parole. Non sempre ci guardiamo dentro per capire cosa succede, e quali siano le dinamiche che hanno portato quelle parole alla bocca, fino a farle esplodere.

A proposito di questa considerazione mi venivano in mente le impronte digitali.
Nessuno ha un'impronta digitale uguale a quella di un altro. Nessuno.
Non esistono impronte digitali identiche.
Eppure siamo miliardi di persone, ma... non esiste un'impronta digitale identica a un'altra.
Questo per molti versi è una cosa meravigliosa. Poiche possiamo meglio immaginare che se l'impronta digitale è "identificativa" della persona, tanto più lo è "l'identità".
E allo stesso modo delle impronte, possiamo dire con certezza e in verità che non c'è identità uguale a un'altra.
Non c'è! Ognuno di noi è meravigliosamente unico.
Possiamo, certo, apprendere atteggiamenti, modi  di fare o anche di essere; ma la fonte, per così dire, dalla quale noi recepiamo tutto questo, non è mai una sola. Non prendiamo mai, direttamente e senza alcuna interferenza, tutto da un qualcuno.
Ma siamo quella sorprendente fusione di bello e brutto, di giusto e ingiusto, di bene e male, di luce e buio che, per quanto vasta e varia è l'esperienza umana alla quale attingiamo, non può mai essere perfettamente uguale a quella di un altro.
Noi siamo noi, lei è lei, lui è lui, e basandoci su questa verità forse vale davvero la pena non tanto cercare quanto di brutto, ingiusto, male o buio può accomunarci, ma di puntare la nostra attenzione su quel bello, giusto, bene e luce che può diventare ricchezza condivisa, e così moltiplicarsi.

A chi giova se a moltiplicarsi è il risentimento, il rancore, l'accusa, la cecità delle ferite inferte?


lunedì 21 ottobre 2013

Essere o non essere... this is the question.

Si educa molto con quel che si dice,
ancor più con quel che si fa,
ma molto di più con quel che si è.

sant'Ignazio di Antiochia

domenica 20 ottobre 2013

La cultura del provvisorio. Ma cos'è?

La cultura del provvisorio.
Più volte, dall'inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha posto l'accento su questo fenomeno così attuale e diffuso nella nostra società, ed è tornato a farlo in occasione della visita pastorale ad Assisi dello scorso 4 ottobre, all'ombra della Basilica di Santa Maria degli Angeli, in risposta alle domande postegli da diversi giovani lì presenti.
Ma cosa intende, in concreto, quando parla della "cultura del provvisorio"?

In risposta a una giovane coppia che , sentendo la gioia e, allo stesso tempo, la fatica legata alle sfide quotidiane del loro matrimonio, gli ha chiesto come la chiesa potesse aiutarli e quali sono i passi che sono chiamati a compiere, il Papa ha detto loro:
 "Pensiamo ai nostri genitori, ai nostri nonni o bisnonni: si sono sposati in condizioni molto più povere delle nostre, alcuni in tempo di guerra, o di dopoguerra; alcuni sono emigrati, come i miei genitori. Dove trovavano la forza? La trovavano nella certezza che il Signore era con loro, che la famiglia è benedetta da Dio col Sacramento del matrimonio, e che benedetta è la missione di mettere al mondo i figli e di educarli. Con queste certezze hanno superato anche le prove più dure. Erano certezze semplici, ma vere, formavano delle colonne che sostenevano il loro amore. Non è stata facile, la vita loro; c’erano problemi, tanti problemi. Ma queste certezze semplici li aiutavano ad andare avanti. E sono riusciti a fare una bella famiglia, a dare vita, a fare crescere i figli." 

Per esplicitarsi meglio, ha aggiunto una considerazione legata a sue esperienze personali:
"Quante volte i parroci – anch’io, alcune volte l’ho sentito – sentono una coppia che viene a sposarsi: “Ma voi sapete che il matrimonio è per tutta la vita?”. “Ah, noi ci amiamo tanto, ma… rimarremo insieme finché dura l’amore. Quando finisce, uno da una parte e l’altro dall’altra”. E’ l’egoismo: quando io non sento, taglio il matrimonio e mi dimentico di quell’“una sola carne”, che non può dividersi. E’ rischioso sposarsi: è rischioso! E’ quell’egoismo che ci minaccia, perché dentro di noi tutti abbiamo la possibilità di una doppia personalità: quella che dice: “Io, libero, io voglio questo…”, e l’altra che dice: “Io, me, mi, con me, per me …”. L’egoismo sempre, che torna e non sa aprirsi agli altri.

Dopodiché, ha messo in risalto il tema della nostra riflessione:
" L’altra difficoltà è questa cultura del provvisorio: sembra che niente sia definitivo. Tutto è provvisorio. Come ho detto prima: mah, l’amore, finché dura. Una volta ho sentito un seminarista – bravo – che diceva: “Io voglio diventare prete, ma per dieci anni. Dopo ci ripenso”. E’ la cultura del provvisorio, e Gesù non ci ha salvato provvisoriamente: ci ha salvati definitivamente! 

Indicando, poi, le vie concrete entro le quali compiere quei passi:
"Ma lo Spirito Santo suscita sempre risposte nuove alle nuove esigenze! E così si sono moltiplicati nella Chiesa i cammini per fidanzati, i corsi di preparazione al Matrimonio, i gruppi di giovani coppie nelle parrocchie, i movimenti familiari… Sono una ricchezza immensa! Sono punti di riferimento per tutti: giovani in ricerca, coppie in crisi, genitori in difficoltà con i figli e viceversa. Ci aiutano tutti! E poi ci sono le diverse forme di accoglienza: l’affido, l’adozione, le case-famiglia di vari tipi… La fantasia – mi permetto la parola – la fantasia dello Spirito Santo è infinita, ma è anche molto concreta! Allora vorrei dirvi di non avere paura di fare passi definitivi: non avere paura di farli. Quante volte ho sentito mamme che mi dicono: “Ma, Padre, io ho un figlio di 30 anni e non si sposa: non so cosa fare! Ha una bella fidanzata, ma non si decide”. Ma, signora, non gli stiri più le camicie! E’ così! Non avere paura di fare passi definitivi, come quello del matrimonio: approfondite il vostro amore, rispettandone i tempi e le espressioni, pregate, preparatevi bene, ma poi abbiate fiducia che il Signore non vi lascia soli! Fatelo entrare nella vostra casa come uno di famiglia, Lui vi sosterrà sempre."

In occasione della celebrazione di domenica scorsa, 13 ottobre, all'ombra materna della Madonna di Fatima, che in occasione della giornata Mariana è giunta fino a Roma, Papa Francesco ha sottolineato l'importanza di non cedere a questa cultura anche, e soprattutto, nel nostro cammino di fede.
"E io mi domando: sono un cristiano “a singhiozzo”, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, di incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a Lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza. E questo è il cammino definitivo: sempre col Signore, anche nelle nostre debolezze, anche nei nostri peccati. Mai andare sulla strada del provvisorio. Questo ci uccide. La fede è fedeltà definitiva, come quella di Maria."

E' evidente che ciascuno può e deve considerare queste parole alla luce della propria storia, e coglierne i consigli e i suggerimenti d'amore più personali e concreti.
Personalmente credo che la cultura del provvisorio si possa vincere soltanto vivendo e promuovendo "la cultura del definitivo".
Vivendo prima e promuovendo poi.
Poiché  è quando rimaniamo in superficie, quando non andiamo in profondità nei rapporti, nei legami, nella nostra stessa fede, che la cultura del provvisorio a poco a poco si insinua nelle nostre esistenze e le contamina, ci contamina, fino a poterci uccidere -come sottolinea Francesco-.
Allora è charo che per vivere la cultura del definitivo bisogna prima scegliere di camminare in essa.
E a quel punto sarà la nostra stessa vita a promuoverla, ad indicarla come via di bene e di verità; personale, famigliare e collettiva.

Mi sovviene a tal proposito una frase che san Francesco disse una volta ai suoi fratelli, e che il Papa ha ripetuto anche in occasione di questo incontro con i giovani di Assisi: "Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!". "Ma come?, ha aggunto il Papa, Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole! Ma la testimonianza!"

Nicola Salvi

Fonte: sito ufficiale del vaticano: www.vatican.va

sabato 19 ottobre 2013

"Ama la Verità", san Giuseppe Moscati incoraggia.

Ama la verità,
mostrati qual sei,
e senza infingimenti e senza paure
e senza riguardi.
E se la verità ti costa la persecuzione,
e tu accettala;
e se il tormento,
e tu sopportalo.
E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita,
e tu sii forte nel sacrificio.

san Giuseppe Moscati
17 ottobre 1922

giovedì 10 ottobre 2013

Sono incinta, e ora? Scrivo al Papa...

A volte i pensieri, i ricordi , le emozioni, affiorano alla memoria del cuore e della mente senza alcuna ragione evidente. Ed è proprio quello che mi è capitato oggi, e vorrei condividerlo con ogni eventuale lettore di queste righe.

Ripensavo a un articolo letto diversi giorni fa, che raccontava di una ragazza di 35 anni, Anna - la cui storia è forse già nota ai più, poiché ha già fatto il giro del mondo - la quale, dopo essersi trasferita da Roma ad Arezzo, scopre di essere incinta.
Il padre del bebè non vuole saperne nulla, poiché è già sposato e ha un figlio, e comincia a fare pressioni su di lei affinché interrompa la gravidanza indesiderata.
Così il pensiero dell'aborto si insinua in Anna, la quale però, nel suo dibattimento interiore è raggiunta da un'intuizione: decide di scrivere una lettera a Papa Francesco, senza neppure ben sapere come indirizzarla.
"Santo Padre Papa Francesco, Città del  Vaticano, Roma", questo il semplice indirizzo sulla busta.
Pochi giorni dopo il telefono squilla, e sul display appare un numero sconosciuto con il prefisso di Roma.
"Pronto Anna, sono papa Francesco. Ho letto la tua lettera. Noi cristiani non dobbiamo farci togliere la speranza, un bambino è un dono di Dio, un segno della Provvidenza".
"Le sue parole mi hanno riempito il cuore di gioia", racconta Anna. "Mi ha detto che ero stata molto coraggiosa e forte per il mio bambino".
In questa stessa telefonata Anna spiega al pontefice che vorrebbe far battezzare quel figlio in arrivo, ma teme che non sia possibile perché divorziata.
"Sono convinto che non avrai problemi a trovare un padre spirituale, e poi - ha aggiunto - in caso contrario, sappi che ci sono sempre io".



E' una storia che mi è rimasta dentro per almeno due motivi:

vedere applicate a un atto concreto le parole di Papa Francesco, che proprio nelle ultime settimane ha ribadito il suo desiderio di una chiesa vicina alle persone, capace di curarne le ferite, facendosi realmente e concretamente prossima ad esse.

E inoltre, ancor di più, perché ho trovato questa testimonianza molto significativa.
Non solo perché è stato lo stesso pontefice a donare parole di incoraggiamento a questa ragazza, ma perché il suo atteggiamento è di esempio per ciascuno di noi, e mette in luce la necessità di essere portatori di speranza, portatori di luce, portatori di forza. In poche parole, portatori di Dio stesso.
E l'effetto di questo è ora sotto gli occhi di tutti noi: è una scelta di vita per la vita.

Poiché per quanto possa sembrarci difficile prendere talune decisioni, e per quanto ciò e chi ci circonda ci spinga nella direzione opposta alla vita, il nostro atteggiamento e le nostre decisioni di cristiani devono cercare proprio quella gioia che ha riempito il cuore di Anna.
Perché quando facciamo delle scelte contro la vita il nostro cuore è triste, e questo non è bello.

Anna ha ricevuto la grazia di essere spronata al bene da una persona come papa Francesco, ma questo deve insegnare anche a ciascuno di noi ad uscire per cercare il consiglio di chi pensiamo possa aiutarci.
Non credo sia un caso che Anna si sia rivolta al nostro pontefice. Lo ha fatto perché in cuor suo sapeva già che papa Francesco l'avrebbe incoraggiata a portare avanti la sua gravidanza.

Ebbene il primo campanello che ci annuncia la via della verità risiede proprio in noi stessi, e dobbiamo guardarci bene dentro, prima di prendere scelte troppo affrettate e, ahimè, poi troppo dolorose. Così da seguire quella voce che ci spinge a cercare consiglio dove sappiamo essercene sempre uno buono. Presso chi ha sapienza di cuore, primariamente, più che di mente.

Nelle stesso articolo viene poi indicato il grande supporto che i Centri di aiuto alla vita offrono a quanti si trovano nella stessa condizione di Anna e di tante altre ragazze, che attraverso proprio l'aiuto concreto e pratico di molte persone, riescono a vincere per la vita.

A quanti, dunque, in vario modo e tempo giungeranno a questo articolo, desidero poter dire: coraggio! Non siamo mai veramente soli nelle vita! Ed è questa una verità da difendere e diffondere.

 
Nicola Salvi
 
Fonte: Rivista settimanale "Credere"
Anno I n° 24 15 settembre 2013

domenica 6 ottobre 2013

La società inquinata dalla cultura dello "scarto". Confidenze di Papa Francesco.

Venerdì 4 ottobre 2013. Papa Francesco si reca in pellegrinaggio ad Assisi, e la sua prima tappa è un istituto che accoglie bambini disabili e ammalati.
Dopo aver rivolto loro alcune parole, come sempre intense di valore e significato, ha consegnato altre parole che aveva preparato per l'occasione, dandole per lette.

Scopriamone insieme il forte contenuto:



Cari fratelli e sorelle,

voglio iniziare la mia visita ad Assisi con voi, vi saluto tutti!
Oggi è la festa di san Francesco, e io ho scelto come Vescovo di Roma, di portare il suo nome. Ecco perché oggi sono quì: la mia visita è soprattutto un pellegrinaggio di amore,   per pregare sulla tomba di un uomo che si è spogliato di se stesso e si è rivestito di Cristo e, sull’esempio di Cristo, ha amato tutti, specialmente i più poveri e abbandonati, ha amato con stupore e semplicità la creazione di Dio.
Arrivando qui ad Assisi, alle porte della città, si trova questo Istituto, che si chiama proprio “Serafico”, un soprannome di san Francesco. Lo fondò un grande francescano, il Beato Ludovico da Casoria. 

 Ed è giusto partire da qui. San Francesco, nel suo Testamento, dice: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi: e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF, 110). 

 La società purtroppo è inquinata dalla cultura dello “scarto”, che è opposta alla cultura dell’accoglienza. E le vittime della cultura dello scarto sono proprio le persone più deboli, più fragili. In questa Casa invece vedo in azione la cultura dell’accoglienza. Certo, anche qui non sarà tutto perfetto, ma si collabora insieme per la vita dignitosa di persone con gravi difficoltà. Grazie per questo segno di amore che ci offrite: questo è il segno della vera civiltà, umana e cristiana! Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate! A volte invece le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro. Che cosa fare? Da questo luogo in cui si vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da un profondo amore cristiano, amore a Cristo Crocifisso, alla carne di Cristo, opere in cui si uniscano la professionalità, il lavoro qualificato e giustamente retribuito, con il volontariato, un tesoro prezioso.

Servire con amore e con tenerezza le persone che hanno bisogno di tanto aiuto ci fa crescere in umanità, perché esse sono vere risorse di umanità. San Francesco era un giovane ricco, aveva ideali di gloria, ma Gesù, nella persona di quel lebbroso, gli ha parlato in silenzio, e lo ha cambiato, gli ha fatto capire ciò che vale veramente nella vita: non le ricchezze, la forza delle armi, la gloria terrena, ma l’umiltà, la misericordia, il perdono. 

Qui, cari fratelli e sorelle, voglio leggervi qualcosa di personale, una delle più belle lettere che ho ricevuto, un dono di amore di Gesù. Me l’ha scritta Nicolás, un ragazzo di 16 anni, disabile fin dalla nascita, che abita a Buenos Aires. Ve la leggo: «Caro Francesco: sono Nicolás ed ho 16 anni; siccome non posso scriverti io (perché ancora non parlo, né cammino), ho chiesto ai miei genitori di farlo al posto mio, perché loro sono le persone che mi conoscono di più. Ti voglio raccontare che quando avevo 6 anni, nel mio Collegio che si chiama Aedin, Padre Pablo mi ha dato la prima Comunione e quest’anno, in novembre, riceverò la Cresima, una cosa che mi dà molta gioia. Tutte le notti, da quando tu me l’hai chiesto, io domando al mio Angelo Custode, che si chiama Eusebio e che ha molta pazienza, di custodirti e di aiutarti. Stai sicuro che lo fa molto bene perché ha cura di me e mi accompagna tutti i giorni!! Ah! E quando non ho sonno… viene a giocare con me!! Mi piacerebbe molto venire a vederti e ricevere la tua benedizione e un bacio: solo questo!! Ti mando tanti saluti e continuo a chiedere ad Eusebio che abbia cura di te e ti dia forza. Baci. NICO».

In questa lettera, nel cuore di questo ragazzo c’è la bellezza, l’amore, la poesia di Dio. Dio che si rivela a chi ha il cuore semplice, ai piccoli, agli umili, a chi noi spesso consideriamo ultimi, anche a voi, cari amici: quel ragazzo quando non riesce ad addormentarsi gioca con il suo Angelo Custode; è Dio che scende a giocare con lui. 

Nella Cappella di questo Istituto, il Vescovo ha voluto che ci sia l’adorazione eucaristica permanente: lo stesso Gesù che adoriamo nel Sacramento, lo incontriamo nel fratello più fragile, dal quale impariamo, senza barriere e complicazioni, che Dio ci ama con la semplicità del cuore.  

Grazie a tutti di questo incontro. Vi porto con me, nell’affetto e nella preghiera. Ma anche voi pregate per me! Il Signore vi benedica e la Madonna e san Francesco vi proteggano. 

Parole di profonda verità, che proprio per questo ho voluto condividere nel primo post di questo nuovo blog, dedicato in particolare proprio a questo tema.

Grazie per il tempo dedicato alla lettura.

Nicola  Salvi

Fonte: Sito ufficiale del Vaticano www.vatican.va