Solo la verità ci rende veramente liberi!

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domenica 27 ottobre 2013

Guardati, sei proprio tale e quale a...

Guardati, ma sei proprio tale e quale a tuo padre / a tua madre!

Alzi la mano telematica chi non ha mai sentito pronunciare queste parole!

Possono essere state rivolte proprio a noi, o a qualcuno a noi molto vicino.
Può averle pronunciate una madre verso il figlio; un padre verso la figlia; una "nuora" verso il marito; un "genero" verso la moglie; o anche un/a  figlio/a  verso il genitore.

E quante volte queste parole, se dette con intenzione offensiva, procurano ferite?
Non c'è dubbio che quando vengono pronunciate sono palesemente la conseguenza di una stato di nervosismo e di rabbia, che fa sbottare con parole inadeguate ed eccessive i propri sentimenti.
Ciascuno di noi sa bene quali motivi ci spingono a usare un linguaggio piuttosto che un altro. Ma non sempre ci fermiamo a riflettere sulla giustizia delle nostre parole. Non sempre ci guardiamo dentro per capire cosa succede, e quali siano le dinamiche che hanno portato quelle parole alla bocca, fino a farle esplodere.

A proposito di questa considerazione mi venivano in mente le impronte digitali.
Nessuno ha un'impronta digitale uguale a quella di un altro. Nessuno.
Non esistono impronte digitali identiche.
Eppure siamo miliardi di persone, ma... non esiste un'impronta digitale identica a un'altra.
Questo per molti versi è una cosa meravigliosa. Poiche possiamo meglio immaginare che se l'impronta digitale è "identificativa" della persona, tanto più lo è "l'identità".
E allo stesso modo delle impronte, possiamo dire con certezza e in verità che non c'è identità uguale a un'altra.
Non c'è! Ognuno di noi è meravigliosamente unico.
Possiamo, certo, apprendere atteggiamenti, modi  di fare o anche di essere; ma la fonte, per così dire, dalla quale noi recepiamo tutto questo, non è mai una sola. Non prendiamo mai, direttamente e senza alcuna interferenza, tutto da un qualcuno.
Ma siamo quella sorprendente fusione di bello e brutto, di giusto e ingiusto, di bene e male, di luce e buio che, per quanto vasta e varia è l'esperienza umana alla quale attingiamo, non può mai essere perfettamente uguale a quella di un altro.
Noi siamo noi, lei è lei, lui è lui, e basandoci su questa verità forse vale davvero la pena non tanto cercare quanto di brutto, ingiusto, male o buio può accomunarci, ma di puntare la nostra attenzione su quel bello, giusto, bene e luce che può diventare ricchezza condivisa, e così moltiplicarsi.

A chi giova se a moltiplicarsi è il risentimento, il rancore, l'accusa, la cecità delle ferite inferte?


lunedì 21 ottobre 2013

Essere o non essere... this is the question.

Si educa molto con quel che si dice,
ancor più con quel che si fa,
ma molto di più con quel che si è.

sant'Ignazio di Antiochia

domenica 20 ottobre 2013

La cultura del provvisorio. Ma cos'è?

La cultura del provvisorio.
Più volte, dall'inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha posto l'accento su questo fenomeno così attuale e diffuso nella nostra società, ed è tornato a farlo in occasione della visita pastorale ad Assisi dello scorso 4 ottobre, all'ombra della Basilica di Santa Maria degli Angeli, in risposta alle domande postegli da diversi giovani lì presenti.
Ma cosa intende, in concreto, quando parla della "cultura del provvisorio"?

In risposta a una giovane coppia che , sentendo la gioia e, allo stesso tempo, la fatica legata alle sfide quotidiane del loro matrimonio, gli ha chiesto come la chiesa potesse aiutarli e quali sono i passi che sono chiamati a compiere, il Papa ha detto loro:
 "Pensiamo ai nostri genitori, ai nostri nonni o bisnonni: si sono sposati in condizioni molto più povere delle nostre, alcuni in tempo di guerra, o di dopoguerra; alcuni sono emigrati, come i miei genitori. Dove trovavano la forza? La trovavano nella certezza che il Signore era con loro, che la famiglia è benedetta da Dio col Sacramento del matrimonio, e che benedetta è la missione di mettere al mondo i figli e di educarli. Con queste certezze hanno superato anche le prove più dure. Erano certezze semplici, ma vere, formavano delle colonne che sostenevano il loro amore. Non è stata facile, la vita loro; c’erano problemi, tanti problemi. Ma queste certezze semplici li aiutavano ad andare avanti. E sono riusciti a fare una bella famiglia, a dare vita, a fare crescere i figli." 

Per esplicitarsi meglio, ha aggiunto una considerazione legata a sue esperienze personali:
"Quante volte i parroci – anch’io, alcune volte l’ho sentito – sentono una coppia che viene a sposarsi: “Ma voi sapete che il matrimonio è per tutta la vita?”. “Ah, noi ci amiamo tanto, ma… rimarremo insieme finché dura l’amore. Quando finisce, uno da una parte e l’altro dall’altra”. E’ l’egoismo: quando io non sento, taglio il matrimonio e mi dimentico di quell’“una sola carne”, che non può dividersi. E’ rischioso sposarsi: è rischioso! E’ quell’egoismo che ci minaccia, perché dentro di noi tutti abbiamo la possibilità di una doppia personalità: quella che dice: “Io, libero, io voglio questo…”, e l’altra che dice: “Io, me, mi, con me, per me …”. L’egoismo sempre, che torna e non sa aprirsi agli altri.

Dopodiché, ha messo in risalto il tema della nostra riflessione:
" L’altra difficoltà è questa cultura del provvisorio: sembra che niente sia definitivo. Tutto è provvisorio. Come ho detto prima: mah, l’amore, finché dura. Una volta ho sentito un seminarista – bravo – che diceva: “Io voglio diventare prete, ma per dieci anni. Dopo ci ripenso”. E’ la cultura del provvisorio, e Gesù non ci ha salvato provvisoriamente: ci ha salvati definitivamente! 

Indicando, poi, le vie concrete entro le quali compiere quei passi:
"Ma lo Spirito Santo suscita sempre risposte nuove alle nuove esigenze! E così si sono moltiplicati nella Chiesa i cammini per fidanzati, i corsi di preparazione al Matrimonio, i gruppi di giovani coppie nelle parrocchie, i movimenti familiari… Sono una ricchezza immensa! Sono punti di riferimento per tutti: giovani in ricerca, coppie in crisi, genitori in difficoltà con i figli e viceversa. Ci aiutano tutti! E poi ci sono le diverse forme di accoglienza: l’affido, l’adozione, le case-famiglia di vari tipi… La fantasia – mi permetto la parola – la fantasia dello Spirito Santo è infinita, ma è anche molto concreta! Allora vorrei dirvi di non avere paura di fare passi definitivi: non avere paura di farli. Quante volte ho sentito mamme che mi dicono: “Ma, Padre, io ho un figlio di 30 anni e non si sposa: non so cosa fare! Ha una bella fidanzata, ma non si decide”. Ma, signora, non gli stiri più le camicie! E’ così! Non avere paura di fare passi definitivi, come quello del matrimonio: approfondite il vostro amore, rispettandone i tempi e le espressioni, pregate, preparatevi bene, ma poi abbiate fiducia che il Signore non vi lascia soli! Fatelo entrare nella vostra casa come uno di famiglia, Lui vi sosterrà sempre."

In occasione della celebrazione di domenica scorsa, 13 ottobre, all'ombra materna della Madonna di Fatima, che in occasione della giornata Mariana è giunta fino a Roma, Papa Francesco ha sottolineato l'importanza di non cedere a questa cultura anche, e soprattutto, nel nostro cammino di fede.
"E io mi domando: sono un cristiano “a singhiozzo”, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, di incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a Lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza. E questo è il cammino definitivo: sempre col Signore, anche nelle nostre debolezze, anche nei nostri peccati. Mai andare sulla strada del provvisorio. Questo ci uccide. La fede è fedeltà definitiva, come quella di Maria."

E' evidente che ciascuno può e deve considerare queste parole alla luce della propria storia, e coglierne i consigli e i suggerimenti d'amore più personali e concreti.
Personalmente credo che la cultura del provvisorio si possa vincere soltanto vivendo e promuovendo "la cultura del definitivo".
Vivendo prima e promuovendo poi.
Poiché  è quando rimaniamo in superficie, quando non andiamo in profondità nei rapporti, nei legami, nella nostra stessa fede, che la cultura del provvisorio a poco a poco si insinua nelle nostre esistenze e le contamina, ci contamina, fino a poterci uccidere -come sottolinea Francesco-.
Allora è charo che per vivere la cultura del definitivo bisogna prima scegliere di camminare in essa.
E a quel punto sarà la nostra stessa vita a promuoverla, ad indicarla come via di bene e di verità; personale, famigliare e collettiva.

Mi sovviene a tal proposito una frase che san Francesco disse una volta ai suoi fratelli, e che il Papa ha ripetuto anche in occasione di questo incontro con i giovani di Assisi: "Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!". "Ma come?, ha aggunto il Papa, Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole! Ma la testimonianza!"

Nicola Salvi

Fonte: sito ufficiale del vaticano: www.vatican.va

sabato 19 ottobre 2013

"Ama la Verità", san Giuseppe Moscati incoraggia.

Ama la verità,
mostrati qual sei,
e senza infingimenti e senza paure
e senza riguardi.
E se la verità ti costa la persecuzione,
e tu accettala;
e se il tormento,
e tu sopportalo.
E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita,
e tu sii forte nel sacrificio.

san Giuseppe Moscati
17 ottobre 1922

giovedì 10 ottobre 2013

Sono incinta, e ora? Scrivo al Papa...

A volte i pensieri, i ricordi , le emozioni, affiorano alla memoria del cuore e della mente senza alcuna ragione evidente. Ed è proprio quello che mi è capitato oggi, e vorrei condividerlo con ogni eventuale lettore di queste righe.

Ripensavo a un articolo letto diversi giorni fa, che raccontava di una ragazza di 35 anni, Anna - la cui storia è forse già nota ai più, poiché ha già fatto il giro del mondo - la quale, dopo essersi trasferita da Roma ad Arezzo, scopre di essere incinta.
Il padre del bebè non vuole saperne nulla, poiché è già sposato e ha un figlio, e comincia a fare pressioni su di lei affinché interrompa la gravidanza indesiderata.
Così il pensiero dell'aborto si insinua in Anna, la quale però, nel suo dibattimento interiore è raggiunta da un'intuizione: decide di scrivere una lettera a Papa Francesco, senza neppure ben sapere come indirizzarla.
"Santo Padre Papa Francesco, Città del  Vaticano, Roma", questo il semplice indirizzo sulla busta.
Pochi giorni dopo il telefono squilla, e sul display appare un numero sconosciuto con il prefisso di Roma.
"Pronto Anna, sono papa Francesco. Ho letto la tua lettera. Noi cristiani non dobbiamo farci togliere la speranza, un bambino è un dono di Dio, un segno della Provvidenza".
"Le sue parole mi hanno riempito il cuore di gioia", racconta Anna. "Mi ha detto che ero stata molto coraggiosa e forte per il mio bambino".
In questa stessa telefonata Anna spiega al pontefice che vorrebbe far battezzare quel figlio in arrivo, ma teme che non sia possibile perché divorziata.
"Sono convinto che non avrai problemi a trovare un padre spirituale, e poi - ha aggiunto - in caso contrario, sappi che ci sono sempre io".



E' una storia che mi è rimasta dentro per almeno due motivi:

vedere applicate a un atto concreto le parole di Papa Francesco, che proprio nelle ultime settimane ha ribadito il suo desiderio di una chiesa vicina alle persone, capace di curarne le ferite, facendosi realmente e concretamente prossima ad esse.

E inoltre, ancor di più, perché ho trovato questa testimonianza molto significativa.
Non solo perché è stato lo stesso pontefice a donare parole di incoraggiamento a questa ragazza, ma perché il suo atteggiamento è di esempio per ciascuno di noi, e mette in luce la necessità di essere portatori di speranza, portatori di luce, portatori di forza. In poche parole, portatori di Dio stesso.
E l'effetto di questo è ora sotto gli occhi di tutti noi: è una scelta di vita per la vita.

Poiché per quanto possa sembrarci difficile prendere talune decisioni, e per quanto ciò e chi ci circonda ci spinga nella direzione opposta alla vita, il nostro atteggiamento e le nostre decisioni di cristiani devono cercare proprio quella gioia che ha riempito il cuore di Anna.
Perché quando facciamo delle scelte contro la vita il nostro cuore è triste, e questo non è bello.

Anna ha ricevuto la grazia di essere spronata al bene da una persona come papa Francesco, ma questo deve insegnare anche a ciascuno di noi ad uscire per cercare il consiglio di chi pensiamo possa aiutarci.
Non credo sia un caso che Anna si sia rivolta al nostro pontefice. Lo ha fatto perché in cuor suo sapeva già che papa Francesco l'avrebbe incoraggiata a portare avanti la sua gravidanza.

Ebbene il primo campanello che ci annuncia la via della verità risiede proprio in noi stessi, e dobbiamo guardarci bene dentro, prima di prendere scelte troppo affrettate e, ahimè, poi troppo dolorose. Così da seguire quella voce che ci spinge a cercare consiglio dove sappiamo essercene sempre uno buono. Presso chi ha sapienza di cuore, primariamente, più che di mente.

Nelle stesso articolo viene poi indicato il grande supporto che i Centri di aiuto alla vita offrono a quanti si trovano nella stessa condizione di Anna e di tante altre ragazze, che attraverso proprio l'aiuto concreto e pratico di molte persone, riescono a vincere per la vita.

A quanti, dunque, in vario modo e tempo giungeranno a questo articolo, desidero poter dire: coraggio! Non siamo mai veramente soli nelle vita! Ed è questa una verità da difendere e diffondere.

 
Nicola Salvi
 
Fonte: Rivista settimanale "Credere"
Anno I n° 24 15 settembre 2013

domenica 6 ottobre 2013

La società inquinata dalla cultura dello "scarto". Confidenze di Papa Francesco.

Venerdì 4 ottobre 2013. Papa Francesco si reca in pellegrinaggio ad Assisi, e la sua prima tappa è un istituto che accoglie bambini disabili e ammalati.
Dopo aver rivolto loro alcune parole, come sempre intense di valore e significato, ha consegnato altre parole che aveva preparato per l'occasione, dandole per lette.

Scopriamone insieme il forte contenuto:



Cari fratelli e sorelle,

voglio iniziare la mia visita ad Assisi con voi, vi saluto tutti!
Oggi è la festa di san Francesco, e io ho scelto come Vescovo di Roma, di portare il suo nome. Ecco perché oggi sono quì: la mia visita è soprattutto un pellegrinaggio di amore,   per pregare sulla tomba di un uomo che si è spogliato di se stesso e si è rivestito di Cristo e, sull’esempio di Cristo, ha amato tutti, specialmente i più poveri e abbandonati, ha amato con stupore e semplicità la creazione di Dio.
Arrivando qui ad Assisi, alle porte della città, si trova questo Istituto, che si chiama proprio “Serafico”, un soprannome di san Francesco. Lo fondò un grande francescano, il Beato Ludovico da Casoria. 

 Ed è giusto partire da qui. San Francesco, nel suo Testamento, dice: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi: e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF, 110). 

 La società purtroppo è inquinata dalla cultura dello “scarto”, che è opposta alla cultura dell’accoglienza. E le vittime della cultura dello scarto sono proprio le persone più deboli, più fragili. In questa Casa invece vedo in azione la cultura dell’accoglienza. Certo, anche qui non sarà tutto perfetto, ma si collabora insieme per la vita dignitosa di persone con gravi difficoltà. Grazie per questo segno di amore che ci offrite: questo è il segno della vera civiltà, umana e cristiana! Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate! A volte invece le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro. Che cosa fare? Da questo luogo in cui si vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da un profondo amore cristiano, amore a Cristo Crocifisso, alla carne di Cristo, opere in cui si uniscano la professionalità, il lavoro qualificato e giustamente retribuito, con il volontariato, un tesoro prezioso.

Servire con amore e con tenerezza le persone che hanno bisogno di tanto aiuto ci fa crescere in umanità, perché esse sono vere risorse di umanità. San Francesco era un giovane ricco, aveva ideali di gloria, ma Gesù, nella persona di quel lebbroso, gli ha parlato in silenzio, e lo ha cambiato, gli ha fatto capire ciò che vale veramente nella vita: non le ricchezze, la forza delle armi, la gloria terrena, ma l’umiltà, la misericordia, il perdono. 

Qui, cari fratelli e sorelle, voglio leggervi qualcosa di personale, una delle più belle lettere che ho ricevuto, un dono di amore di Gesù. Me l’ha scritta Nicolás, un ragazzo di 16 anni, disabile fin dalla nascita, che abita a Buenos Aires. Ve la leggo: «Caro Francesco: sono Nicolás ed ho 16 anni; siccome non posso scriverti io (perché ancora non parlo, né cammino), ho chiesto ai miei genitori di farlo al posto mio, perché loro sono le persone che mi conoscono di più. Ti voglio raccontare che quando avevo 6 anni, nel mio Collegio che si chiama Aedin, Padre Pablo mi ha dato la prima Comunione e quest’anno, in novembre, riceverò la Cresima, una cosa che mi dà molta gioia. Tutte le notti, da quando tu me l’hai chiesto, io domando al mio Angelo Custode, che si chiama Eusebio e che ha molta pazienza, di custodirti e di aiutarti. Stai sicuro che lo fa molto bene perché ha cura di me e mi accompagna tutti i giorni!! Ah! E quando non ho sonno… viene a giocare con me!! Mi piacerebbe molto venire a vederti e ricevere la tua benedizione e un bacio: solo questo!! Ti mando tanti saluti e continuo a chiedere ad Eusebio che abbia cura di te e ti dia forza. Baci. NICO».

In questa lettera, nel cuore di questo ragazzo c’è la bellezza, l’amore, la poesia di Dio. Dio che si rivela a chi ha il cuore semplice, ai piccoli, agli umili, a chi noi spesso consideriamo ultimi, anche a voi, cari amici: quel ragazzo quando non riesce ad addormentarsi gioca con il suo Angelo Custode; è Dio che scende a giocare con lui. 

Nella Cappella di questo Istituto, il Vescovo ha voluto che ci sia l’adorazione eucaristica permanente: lo stesso Gesù che adoriamo nel Sacramento, lo incontriamo nel fratello più fragile, dal quale impariamo, senza barriere e complicazioni, che Dio ci ama con la semplicità del cuore.  

Grazie a tutti di questo incontro. Vi porto con me, nell’affetto e nella preghiera. Ma anche voi pregate per me! Il Signore vi benedica e la Madonna e san Francesco vi proteggano. 

Parole di profonda verità, che proprio per questo ho voluto condividere nel primo post di questo nuovo blog, dedicato in particolare proprio a questo tema.

Grazie per il tempo dedicato alla lettura.

Nicola  Salvi

Fonte: Sito ufficiale del Vaticano www.vatican.va